Se fai fumetti, prima o poi ti sarai chiesto: “Ma com’è possibile che quel fumetto, disegnato così male, sia stato pubblicato mentre io, che so disegnare molto meglio, faccio fatica a trovare spazio?”
La verità è che non è una questione di giustizia o ingiustizia. È una questione di comunicazione.
Il disegno “bello”, quello curato, con anatomie perfette e prospettive impeccabili, è un linguaggio che parla soprattutto a chi il fumetto lo conosce bene. Richiede competenze interpretative: saper riconoscere lo stile, le citazioni, la qualità tecnica. Per il pubblico generalista, invece, tutta questa raffinatezza può trasformarsi in una barriera. Non è che non la apprezzi: è che non la capisce fino in fondo. E quando non capisci, ti senti escluso.
Il disegno “brutto”, o meglio semplice, essenziale, a volte persino rozzo, fa invece l’opposto: abbassa le difese. Comunica subito accessibilità, dice al lettore: “Questo puoi leggerlo anche tu, non serve un manuale per capirlo.” E infatti i successi più trasversali — dal Diario di una schiappa a Sio o PeraToons, fino ai webcomic virali — puntano proprio su questo tipo di immediatezza.
Quindi non è che chi disegna “peggio” viene premiato perché meno bravo. Viene premiato perché riesce a parlare a più persone. L’editore, che deve vendere libri, lo sa bene: se il target è ampio e generalista, meglio scegliere uno stile che non metta distanza.
Il punto per te, come autore, è capire questa dinamica. Non vuol dire che devi “sporcarti” il tratto o disegnare apposta peggio. Significa renderti conto che il mercato non valuta la bravura tecnica in sé, ma la capacità di farsi leggere. E questa, a volte, passa anche da un disegno volutamente semplice.
Morale: il disegno bello ti fa ammirare, il disegno brutto ti fa leggere.
2 commenti
Aggiungi il tuo →C’è un pensiero che mi ha colpito ed è che il disegno “brutto” vien fatto velocemente e l’editoria, come tutto il resto del mondo attuale, ha fretta; di vendere qualunque cosa assomigli ad un fumetto e farne statistica. Ho capito il concetto del “farsi leggere”, ma gli agenti sono estranei alla spinta data verso questa strada? Credete, voi del mondo editoriale, che non fate voi le tendenze? Grazie.
Sì, la velocità oggi ha un peso: uno stile semplice si produce più in fretta e questo si sposa bene con i ritmi del mercato. Però non è solo questione di tempi stretti: il punto centrale è che quel tipo di disegno arriva più facilmente al lettore occasionale, ed è lì che molti editori vogliono andare.
Sul ruolo di agenti ed editori: non siamo noi a “decidere” le tendenze dall’alto. In realtà seguiamo quello che il pubblico dimostra di volere. Il nostro lavoro è aiutare gli autori a capire dove possono funzionare meglio: c’è spazio sia per chi punta sulla raffinatezza tecnica, sia per chi sceglie la semplicità.