Il girone infernale dell’Attestato di residenza fiscale

Quando si parla di compensi nel mondo del fumetto tutti aprono bene le orecchie. Ma quando si parla di fiscalità cascano proprio a terra, le orecchie.

C’è per esempio la questione della doppia imposizione fiscale, quella cosa per cui chi lavora in Francia (o in un altro Paese) e viene pagato da un editore francese dovrebbe evitare di pagare lì le tasse per pagarle invece nel proprio paese di residenza. Se l’inghippo non si risolve finisce che le tasse le paga due volte.

Per evitare questo inconveniente bisogna presentare un Attestato di residenza fiscale, un semplice documento rilasciato dall’Agenzia delle entrate che conferma che sì, state pagando le tasse in Italia e il vostro datore di lavoro estero può darvi tutto il bottino che poi ci pensa l’Italia a voi.

Epperò, possibile che una cosa così semplice possa diventare tanto complessa? In Italia, sì.

Tanto per cominciare chi rilascia l’attestato? Qualunque agenzia delle entrate, ma dovete andarci di persona (o naturalmente delegare pôra nonna). Però alcune agenzie dicono che no, dovete andare a quella di dove siete residenti. Se non lo fate vi strillano.

A quel punto avete di fronte l’impiegato, che nella metà dei casi non sa di cosa state parlando e nell’altra metà lo sa ma non è detto che ve lo rilasci, questo attestato.

Perché esistono bizzarre interpretazioni per il rilascio di questo attestato, tra le quali quella che vi può essere dato solo dopo 180 giorni più uno dell’anno. Non è la cabala, ma un’interpretazione restrittiva per cui nei primi 180 giorni voi potreste sempre cambiare nazione di residenza, mentre dopo 180 giorni (più uno) siete comunque tenuti a pagare le tasse in Italia.

Ovviamente essendo un’interpretazione altri impiegati l’attestato ve lo rilasciano subito (così come le agenzie di pratiche on-line, dandogli 50 euro).

Rappresento artisti da 26 Paesi diversi, e solo l’Italia ha questa problematica e solo l’Italia chiede anche soldi (in marche da bollo) per rilasciare l’attestato (quando lo fa).

Alcuni autori rassegnati aspettano quindi luglio per poi presentare all’editore francese l’attestato e prendere tutto in una volta. Ma buon per loro che possono aspettare. Altrimenti, secondo l’ipotesi restrittiva, tra gennaio e luglio dovreste lavorare lasciando il 30% del vostro compenso al fisco francese, che aprirebbe una posizione fiscale a vostro nome, per poi cercare di recuperare il maltolto tramite un’azione internazionale dell’agenzia delle entrate. Già immaginate quanto sia facile, vero?

Immagino ci si possa pure rivolgere agli usurai, già che ci siamo.

Purtroppo come spesso accade con il fisco italiano non c’è un lieto fine. Solo il girare degli artisti come trottole fino a trovare un impiegato di vedute aperte.

Il tutto per pagare le tasse.

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