[dropcap]È[/dropcap] una tranquilla mattina di novembre. Stai facendo colazione con il caffè, il latte, i biscotti e la marmellata. Pensi alla giornata che hai davanti. Chiacchieri con la tua compagna. Improvvisamente un orribile frastuono irrompe nel silenzio del mattino. Vi affacciate alla finestra della vostra cucina, mentre il suono degli antifurti impazziti si mischia con quello delle sirene delle ambulanze e dei vigili del fuoco.
Dalla parte opposta della strada è crollato un palazzo di sei piani, l’aria è irrespirabile, la polvere sta investendo tutto. Chiudi la finestra e con angoscia cerchi di ricordare se nel palazzo crollato vivesse qualcuno di tua conoscenza. Sì: quell’anziana signora, e quella famiglia di senegalesi, e forse anche quella giovane coppia che era appena venuta a vivere nel quartiere. È una tragedia che ti toglie il respiro, mentre esci di casa per unirti ai volontari che già scavano tra le macerie.
Durante la notte crolla un altro palazzo, in un quartiere distante dal tuo. Il giorno dopo vengono giù altri due palazzi. Cinque il giorno dopo, e una decina nel fine settimana. Lunedì tua madre muore sotto le macerie della sua villetta. I vigili del fuoco ritrovano il corpo intatto. Il comandante della squadra, appoggiando la mano sulla tua spalla, dice: «sembrava dormisse».
Il panico si diffonde rapidamente. Molti scelgono di dormire in macchina, altri sotto le architravi dei loro appartamenti. Altri ancora, spavaldi o incoscienti, continuano a dormire nel proprio letto. Nessuno sa perché i palazzi crollano, ma è quello che fanno. In televisione gli esperti, gli architetti, si contraddicono. C’è chi parla di problemi strutturali, chi mette sotto accusa i materiali scadenti, chi afferma che si tratti di un complotto, chi dà la colpa agli immigrati e alla criminalità dilagante.
Nel corso della settimana crolla il palazzo della televisione. Gli studi, le sale regia, gli uffici: tutto resta sotto le macerie. La sera, assieme alla tua compagna e ai tuoi vicini, vi radunate lungo il marciapiedi sotto casa, seduti al freddo su sedie a sdraio, a guardare una televisione che trasmette solo repliche di vecchi film. Non sei riuscito a riprenderti dalla morte di tua madre che già altri lutti ti hanno colpito. È crollato un autogrill all’ora di pranzo e tuo fratello era lì. Durante la settimana è venuta giù la copertura in cemento di una piscina comunale. Sono morti molti bambini, tra i quali tuo nipote.
Il palazzo dove abiti sembra reggere. I vigili del fuoco lo hanno controllato dalle cantine fino al tetto. Sembra in ordine. Hanno praticato dei fori nelle pareti per verificare che non ci fosse sabbia al posto del cemento. Hanno misurato tutte le crepe, le condutture del gas, la pendenza della facciata. Il tuo palazzo è in buona salute, è ancora tale e quale a come è stato progettato dai suoi architetti, nessuno ha abusivamente aggiunto un piano o due.
La tua compagna, terrorizzata, lascia la città per raggiungere dei lontani parenti in campagna che vivono in una fattoria di un solo piano. Sostiene che se anche dovesse crollare non ci sarebbero grossi pericoli. Tu non riesci a seguirla. La guardi andare via, mentre in lontananza, forse nel quartiere accanto, un altro palazzo si affloscia su se stesso.
Dormi nella tua macchina, posteggiata sotto a un platano, il più lontano possibile dalle case. Hai oscurato i finestrini con le pagine di vecchi quotidiani. Un fornelletto a gas ti serve per riscaldare la minestra. A volte anche per riscaldarti le mani, un poco, prima di andare a dormire. Guardi le stelle dal lunotto posteriore e le stelle da lassù ti restituiscono il loro sguardo silenzioso, inutile. Nel mezzo della notte un tuono terrificante ti fa uscire di corsa dalla vettura, sdraiare a terra tremante, le mani sulla testa. Un terremoto, ti dici: non può essere altrimenti… I denti ti tremano nella bocca. Serri le mandibole. Svieni.
Riprendi conoscenza mentre l’alba si fa strada coraggiosamente tra i miasmi e i fumi. Ti alzi in piedi e ti guardi attorno. Non riconosci più il paesaggio che ti circonda. Nella notte sono crollati i palazzi del quartiere. Forse i palazzi dell’intera città. La tua casa non esiste più, ti aggiri sulle sue macerie come in trance. Dalle cantine, da rifugi improvvisati, da tende piantate nei giardini, escono poche sparute persone che come te camminano sotto choc.
I palazzi – tutti i palazzi – sono crollati. Dopo alcuni mesi trascorsi in improvvisate tendopoli riesci a riunirti alla tua compagna, sopravvissuta miracolosamente al crollo della fattoria dei suoi sfortunati parenti. Il governo ha ricominciato a fornire i servizi essenziali. Ti rendi conto che adesso bisognerà rimboccarsi le maniche, bisognerà ricostruire l’intera città. Dovrai ricostruire la tua stessa casa.
Tu non sai come si costruisce una casa, ma chi si può chiamare? Le case, i palazzi… un tempo li progettavano gli architetti. Ma tutto ciò che è crollato lo avevano costruito loro. Adesso nessuno vuole saperne dei maledetti architetti. D’altronde non se ne trovano più, la maggior parte è perita sotto il crollo dei loro stessi studi. I sopravvissuti negano di essere mai stati architetti e si accontentano di mendicare i resti del poco cibo disponibile.
Adesso tu e la tua compagna e i tuoi amici scampati al macello dovrete studiare e apprendere come costruire per bene una casa. Una casa che sia la più solida possibile. Che possa durare il più a lungo possibile.
* * *
Questa è la storia dell’economia mondiale, di come crolla in crisi sempre più violente che sconvolgono le nazioni e la vita delle persone. Vale la pena continuare ad affidarsi a economisti e banchieri per trovare una soluzione che evidentemente non sanno dare?
L’economia non è una tecnica, è una politica. Il capitalismo, il liberismo e l’economia di mercato, non sono la natura stessa delle cose, ma un’ideologia nefasta della quale sbarazzarsi il prima possibile. Perlomeno prima che sia troppo tardi.
(18 novembre 2011)