Manifesto contro il fumetto moderno

Il fumetto dei decenni passati era un fumetto di genere che predicava la politica dell’evasione e del tempo libero.

Nella costruzione di mondi fantastici il genere poteva permettersi incursioni nell’attualità, dicendo e mostrando cose altrimenti indicibili e inmostrabili.

Tramontata l’era del genere, anzi, chiuso il genere sotto la campana di vetro del politicamente corretto è spuntata l’era dei graphic novel.

Intendiamoci, i graphic novel intesi come romanzi a fumetti, sono fantastici e chi non adora un Gipi o un Zerocalcare?

Ma quando i graphic novel vogliono raccontare invece vite di artisti, pionieri, inventori o sciarade storiche, allora spunta un problema.

Il problema è il punto di vista.

La vita di Maria Montessori, quella di Garibaldi, la conquista della Luna o le vite dei santi, sono trattate da un unico punto di vista. Ogni asperità viene limata, ogni denuncia sociale ricondotta all’interno di un alveo di avvilente perbenismo, ogni riflessione cancellata.

Eppure se chiedete a un bravo scrittore (spesso uno scrittore di genere) vi dirà che una delle prime regole per scrivere bene è di evitare l’autocensura. Invece nei graphic novel l’autocensura sembra la prima regola per tirare a campare.

Non si tratta solo del fatto che le portate rivoluzionarie della storia e delle storie siano spesso anti-borghesi mentre è proprio alla borghesia che oggi ci si rivolge con i fumetti, ma anche la tensione tutta contemporanea nel voler santificare personaggi e comportamenti anziché evidenziarne contraddizioni e conflitti e sollevare dibattito e riflessione.

Come lettore vorrei essere punzecchiato, non coccolato, vorrei che una lettura mi lasciasse con domande, non certezze.

Autori, editori, datevi una mossa, altrimenti i lettori ci lasceranno per sempre.


L’immagine è tratta da
Theodor de Bry’s Engravings for Thomas Harriot’s Briefe and True Report (1590)
via Public Domain Review

Lascia un commento