[dropcap]I[/dropcap]o e il mio amico Culo di gomma andavamo in giro nel caldo non troppo torrido del luglio romano alla ricerca di qualche naziskin a cui spaccare la testa.
A dirla tutta io e Culo di gomma eravamo un po’ arretrati per quel che riguardava lo spaccare le teste. Addirittura vagheggiavamo propositi nonviolenti, una sana vita da vegetariani (Culo di gomma ogni tanto manifestava derive vegane) e un podere in campagna dove coltivare i frutti della terra. In poche parole, eravamo confusi. Ma anche assetati di teste da spaccare, e quali teste sono migliori da spaccare se non quelle dei naziskin?
Nel film L’odio a un certo punto Vince sta per fare fuori un nazi con un colpo di pistola, e l’amico arabo Hubert lo ferma provocandolo. «Poliziotti buoni ne trovi, ma un nazi per essere buono dev’essere morto, spara… ammazzalo». Noi quel limite non l’avevamo raggiunto, nessuno ci esortava a sparare, ma neanche cercava di disinnescarci. D’altronde il luglio di cui parlo era quello magico del 1992, e il film L’odio non era ancora uscito nelle sale, il suo protagonista Vincent Cassel non sapeva nemmeno dell’esistenza di una bonazza italiana di nome Monica Bellucci e noi tuttalpiù restavamo rapiti dalle Iene di Tarantino, che però quel luglio avevano un altro titolo ed erano sonnacchiose, nelle sale vuote e soffocanti.
Come bombe umane cariche di odio attraversavamo l’Appio Tuscolano, Re di Roma, piazza Tuscolo, Acca Larentia… ci sarebbe bastato un solo giubbotto nero, un solo bomberino, uno scudettino dell’Italia, qualsiasi cosa… saremmo stati felici, avremmo vissuto, avremmo capito di quale materia era fatta un’aggressione politica. Ma niente, era luglio, era caldo, i nazi non portavano il bomberino nero, e probabilmente stavano al mare, a Ostia, a prendere il sole e a menare ai marocchini. Io e Culo di gomma scrutavamo strade e marciapiedi con l’intensità di falchetti a caccia di topi. Poi sghignazzavamo perché proprio di topi si trattava e dicevamo qualcosa a Zecchinetta, che rideva pure lui, poi si bloccava e iniziava a cercare febbrilmente un bar dove poter pisciare, perché Zecchinetta aveva sempre la cistite.
Zecchinetta guida, la macchina è sua, e io sono nel sedile accanto mentre Culo di gomma è di dietro, e che voi ci crediate o meno nel bagagliaio c’è una mazza da baseball. Appartiene a Culo di gomma, che a baseball – signori – ci ha giocato per davvero, all’età di sedici anni, quando il futuro è una sorta di arcobaleno delle favole interrotto dai tuoni neri della crescita. Adesso la mazza da baseball ha altri scopi, più nobili, e Culo di gomma ha sempre il tesserino della Federazione italiana gioco baseball, così che se le guardie ci fermano: «Signor agente la mazza è per uso personale, direi quasi ludico».
Ma ora c’è una faccenda più urgente e importante: questi cazzo di naziskin non si trovano, neanche uno, neanche a pagarlo.
Culo di gomma esprime così la sua indignazione: «Perdio ste merde non si fanno vedere».
«Saranno in vacanza, quelli ce li hanno i soldi», replico al mio amico.
«Devo trovare un bar», afferma convinto Zecchinetta.
Sempre Culo di gomma: «Sta diventando tardi, che facciamo stasera?».
«Al Villaggio?», propongo.
«Che ci sta?»
«Suonano. E poi avevamo promesso a Genziana che avremmo fatto lo stand».
«Che stand?»
«Chi è Genziana?», chiede Zecchinetta.
«Lo stand per i bambini iracheni, gliel’abbiamo promesso la settimana scorsa».
«Secondo me glielo hai promesso tu», insiste Culo di gomma.
«Ma che cazzo dici? È stata la sera che siamo andati a cercare lo spazio da occupare per i pirati».
«Sì, ma non mi ricordo di aver detto niente a proposito di uno stand».
«Non te lo ricordi perché hai passato la serata con le mani nelle mutande di Giulia».
«Non mi ricordare di quella zoccola», s’adombra Culo di gomma.
«Chi è Genziana?», squittisce Zecchinetta.
Zecchinetta ferma la macchina e va a pisciare dietro a un albero. Da un balcone una vecchia gli urla qualcosa, e Zecchinetta torna in macchina tutto rosso in faccia, maledicendo la sua cistite e la sua educazione borghese. È una forza Zecchinetta, un ebreo ricco che ci scorazza in giro per Roma con la macchina di papà, che indossa la kefiah che giura essere del Comando di Al Fatah, dono dello zio diplomatico da quel di Gerusalemme.
«Te la devi far curare quella cistite».
«È nervosa».
«Si cura lo stesso. Devi prendere le gocce di uva ursina».
Nel frattempo Culo di gomma si è depresso perché ho parlato di Giulia, e Zecchinetta riflette sconsolato sulle sue origini non proprio umili. La settimana prima avevamo fatto un tour domenicale tra vecchie fabbriche, capannoni in disuso e palazzine abbandonate. Pirateria cercava un’altra sede dopo lo sgombero al Porto fluviale. In realtà tutta la giornata aveva avuto solo lo scopo di spezzare il cuore di Culo di gomma, con questa Giulia, tanto una brava compagna quanto una vera zoccola pericolosa, ma questa è un’altra storia. D’altronde non siamo forse su una Volvo station wagon? E non è forse una ficata? Sì lo è, e Zecchinetta dà gas, e andiamo a mangiare crema di ceci e felafel alla Casa della pace.
Questa sera niente teste rasate da spaccare, niente celebrazioni per i nostri vent’anni. Questa sera finisce a tarallucci e vino, a felafel e succo di mango, corteggiando timidamente giovani femministe incarognite, pogando sul rap sardo dei Sa Razza Posse assieme alla formidabile Elsa, le tette più belle dell’antifascismo romano.
Questa sera siamo tornati all’Appio-Tuscolano e proprio lì dove i nazi hanno la loro sede, il Movimento politico occidentale, io e Culo di gomma abbiamo cancellato le loro svastiche, tracciato le nostre stelle e le nostre falciemartello. Zecchinetta, in macchina col motore acceso, ci implorava di sbrigarci, perché doveva pisciare, la kefiah attorno al collo, in pieno luglio.
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(questo racconto, elaborato diversamente, è stato pubblicato nell’antologia curata da Marco Proietti Mancini per le Edizioni della Sera)