Dodici più due

1

La prima volta gliel’ho succhiato in macchina. Tutto sommato una cosa squallida, anche se si trattava di una BMW. Mi aveva portata fuori a cena, pensando che fossi una ragazza facile, che sarebbe bastato pagare il conto per avermi.

In effetti sono una ragazza facile, quindi gli ho fatto un pompino in macchina, con ingoio e tutto, perché mi piace succhiare e ingoiare e poi restare a guardare incantata mentre il tipo cerca di riprendersi da una delle mie fantastiche pompe.

Gliel’avrei fatta anche se non mi avesse offerto la cena, per dirvi quanto sono facile.

2

La volta successiva eravamo a casa sua. Al contrario di me, lui vive da solo, in un appartamento compratogli dalla mamma in un quartiere alla moda, beato lui. Questa volta non mi ha offerto la cena e non ha neanche provato a cucinare qualcosa. L’invito era valido per guardare un film in dvd. Un’irritante commedia romantica inglese. «Guardare», poi, è un parolone… i primi quindici minuti, perché dopo ero inginocchiata davanti a lui, a passargli la lingua sul glande, inghiottendo il cazzo e guardandolo negli occhi mentre veniva, giocando a chi distoglieva per primo lo sguardo. (Lui).

3

Per qualche motivo il tipo si è fatto venire una specie di senso di colpa. Ha deciso che dovevo «godere» anch’io. Mi ha leccata un po’ in mezzo alle gambe, e mentre faticava alla ricerca della clitoride ho mugolato un po’, per assecondarlo. Poi, per evitare che decidesse di pe­netrarmi o cose del genere, gliel’ho preso di nuovo in bocca e l’ho succhiato per bene finché non ha sborrato. Stavolta gli ho permesso di venirmi dritto in faccia, uno schizzo sui capelli e uno tra la bocca e l’occhio de­stro. Io so che agli uomini piace marchiare la femmina. Soprattutto a quelli come lui, che della vita non capiscono niente.

4

Mi piace molto il sesso all’aperto. A fare pompini è anche ab­bastanza facile. Io mi concentro sul succhiare il cazzo, lui si concentra sull’evitare di essere scoperti, perché è un tipo timido e sciocco. Spero sempre che si distragga, che qualcuno mi veda per bene in azione, che addirittura mi inciti ad alta voce, o che al contrario dia in escandescenze.

Lui però è riservato. Un vero leone quando si tratta di offrire una cena e farsi spompinare in auto, una pecora nel giocare in mezzo alla gente. Ho dovuto adottare una tecnica graduale.

Prima l’abbiamo fatto in ascensore. Ho premuto lo stop, gli ho aperto la patta e l’ho succhiato per bene davanti allo specchio, tra il terzo e il quarto piano. Quando è venuto l’ho bevuta tutta, tranne un piccolo e quasi invisibile rivolo che mi è colato per il mento. L’ho lasciato lì, e quando dopo al bar lui se n’è accorto ho finto di essere imbarazzata.

5

La mossa successiva è stata il cinema. Lui si picca di essere un cinefilo. Per me il cinema senza sesso è solo uno spreco di tempo. Con sua grande sorpresa gli ho chiesto di andare a vedere un film iraniano. Gli ho raccontato di essere una grande appassionata di Kiaro­stami.

Al primo spettacolo c’erano otto spettatori. Ho scelto una delle ultime file. Eravamo soli. Dopo i titoli di testa, per me già ab­bastanza noiosi, mi sono chinata e gli ho aperto i pantaloni. Il resto del film l’ho passato a succhiargli il cazzo. L’ho fatto venire tre volte. Alla fine del primo tempo, quando si sono accese le luci in sala, sono rimasta lì. Lui si è imbarazzato e il cazzo gli è tornato piccolo e moscio. Non sono sicura ma credo che almeno l’omino dei ge­lati ci abbia visto. Peccato che nei cinema non si faccia molto caso a queste co­se.

6

Non si è fatto sentire per un’intera settimana. Credo sia arrabbiato per la storia del cinema. Mi ha detto che gli ho preso in ostaggio l’uccello per due ore. Gli ho det­to che era vero, ma che mi sembrava gli fosse piaciuto. In questi sette giorni ho avuto solo una relazione occasionale con un tipo in un grande magazzino. Un classico pompino mentre si provava un paio di pantaloni. Sono riuscita a fare in modo che non si sporcassero.

7

Come previsto mi ha cercata lui. Ci siamo visti in un bar del centro, per un aperitivo. Ho finto di essere arrabbiata e ho chiesto un incontro «in campo neutro». Ho scelto quel bar perché ha un soppalco con i tavolini che di pomeriggio è poco frequentato. L’ho spompinato lì, e lui ci ha messo un sacco prima di venire perché aveva paura che da un momento all’altro salisse un cameriere. Non si è ac­corto che dalla finestra di fronte ci guardavano alcuni impiegati. Io li ho visti e gli ho fatto “ciao” con la mano.

8

A quanto pare adesso Siamo “riappacificati”. Temo che presto lui mi chieda prestazioni sessuali più tradizionali. Dopo l’episodio del bar del centro mi ha accompagnata a casa e io ne ho approfittato per fargli una pompa nel parcheggio. Lui in piedi appoggiato alla vettura, io in ginocchio con la gonna alzata e la camicetta slacciata. Una macchina passando ci ha suonato il clacson, ma stavolta lui non se n’è neanche accorto. Appena prima che venisse ho provato a stuzzicargli il buco del culo con il dito, mentre gli stringevo le palle.

9

Abbiamo litigato di brutto. Ha det­to che non vuole più che gli faccia pompini. Ha detto che vuole fare “al­l’amore” con me. Ha detto che sono pazza. Ha detto maniaca. Ha detto puttana. Io gli ho risposto che non c’è problema. Ho staccato il cellulare. Il mio numero di casa non ce l’ha. Non sa neanche dove lavoro di preciso e non conosce nessuno che mi conosca. Lo faccio cuocere nel suo brodo. Vediamo chi vince, alla fi­ne.

Sotto casa ho fatto un servizietto a uno di questi ragazzi che girano con le rose. Devo stare attenta perché spesso questi tizi prima li soddisfi, poi ti si attaccano come le pulci. Dicono di amarti, di volerti sposare. L’ho fatto venire nella mia bocca e dopo l’ho terrorizzato cercando di baciarlo con il suo sperma ancora appiccicato alle labbra. I piccoli uomini non tollerano questo genere di cose.

10

Sto tenendo il mio cellulare ancora staccato e tutto sommato devo decidermi a fare un secondo contratto, perché se non ho voglia che mi rintracci non posso neanche stare isolata dal mondo.

A casa mamma mi chiede del lavoro e ad intermittenza an­che degli uomini. Io le racconto che sto uscendo con un avvocato, che ha una bel­la macchina e che mi porta fuori a ce­na e mi riaccompagna a casa. Lei mi guarda per un tempo apparentemente sufficiente al suo dovere materno poi torna a guardare la tele. Ho omesso che sua figlia è una specie di ninfomane orale. E che l’avvocato c’è, ma il rapporto è prevalentemente costituito dal suo cazzo nella mia bocca.

Mi prendo due giorni di ferie in ufficio e la mattina busso a casa del vicino. È un ragazzo single e gay. Quando sono un po’ a terra mi permette di fargli un pompino. La bocca non ha ses­so, dice.

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Siamo tornati a frequentarci. Ho riacceso il cellulare e lui era lì, sedici chiamate e nove messaggi. La mia bocca gli manca. Anche perché non mi viene in mente nient’altro che gli possa mancare di me. Ci vediamo la sera per an­dare a mangiare. Io sono stata chiara, mangio poco o niente a tavola, ma poi voglio mangiarmi il suo cazzo. Lui ride e allora io gli dico: “sul serio”. Lui dice che sono pazza, ma ag­giunge: “va bene”. Ci vediamo alle otto, e per mezzanotte l’ho già spompinato tre volte. Una volta al ristorante, nel cesso. Una seconda volta in macchina, nel traffico del sabato sera (sono sicura che qualcuno ci ha visto) e una terza volta a casa sua, a letto. Mi dice che gli sono mancata e altre cose. Gli dico che la nostra relazione non durerà, lo so, ma che finché dura i patti sono questi: un solo tipo di sesso tra di noi, il pompino. Lui accetta entusiastico, ma io so che crede segretamente di potermi conquistare, di potersi fare strada alla mia fica o al mio culo. Se vuole venga pure, ma poi è finita.

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Mi rendo conto che le mie esigenze aumentano. Ho bisogno di farlo in pubblico. Glielo dico. Lui all’inizio va­cilla ma poi trova delle soluzioni, anche ingegnose.

In macchina lo spompino alla perfezione. Lui prende il raccordo e corre lungo la corsia esterna, affiancandosi a pulman turistici e a camion col rimorchio. Da lì in alto siamo visibili a tutti, anzi, lui rimane in ombra, il suo volto protetto dal tettuccio della vettura. Vedono solo me, il mio cor­po slanciato, il mio culo messo in evidenza dalla posizione prona, la camicetta slacciata con i seni in libertà, la curva dolce e sensuale del mio collo, i capelli raccolti in una delicata crocchia. La mia bocca perfettamente modellata su di un cazzo. Il suo cazzo. Il cazzo di chiunque. Un cazzo da succhiare. Sono la ragazza col cazzo in bocca.

Di me parleranno agli amici e alle amiche. Sai? C’era una oggi in macchina… Io succhio, succhio… mi fermo solo quando lui non ce la fa più, e spesso mi accontento anche di tenerlo in bocca floscio, morbido, svuotato. Basta che mi ve­dano, che vedano i miei vestiti alla moda, la mia aria da brava ragazza, la mia bocca al lavoro. Basta che io esista, per qualcuno, per molti, per tutti.

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So che non durerà. Ma non necessariamente per colpa sua. Un uo­mo ragiona col cazzo, ed averlo nella boc­ca di una bella ragazza è una motivazione sufficiente per tenere in piedi un rapporto a tempo indeterminato.

Aveva ragione lui, sono pazza. Non mi accontento. I giri in macchina sul raccordo o sulle autostrade per me sono solo l’inizio. Voglio farlo in metropolitana, sulle spiagge affollate, nei centri commerciali, in fila alla posta, allo stadio. Voglio succhiare fino allo sfinimento.

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Non durerà perché non dura mai. Perché così è la vita. Ma intanto che ci siamo, intanto che la macchina corre e ci lasciamo dietro scie di lente utilitarie e autisti di camion infoiati, intanto che il mondo gira, io succhio, succhio fino alla fine, allo spasimo, all’ultima maledetta goccia di sperma.

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(Quella nella foto è Lydia Lunch)