Le riviste a fumetti stanno tornando di moda.
Magari non sono nelle classifiche di vendita, ma il fenomeno è innegabile.
Solo nelle ultime settimane sono arrivate queste notizie:
- «Heavy Metal», la storica rivista americana, ha annunciato un piano di investimenti sui contenuti che debutterà con il numero 300, previsto per il prossimo agosto.
- La casa editrice franco-americana Les Humanoïdes Associés, ha annunciato per il 2021 una nuova vita per la storica testata «Métal Hurlant».
Facciamo una doverosa precisazione: le riviste a fumetti, come le conosciamo in Italia, sono dei periodici mensili che si acquistano in edicola. Nel resto del mondo questa definizione va un po’ stretta.
Le riviste si comprano in libreria, dal tabaccaio e in cartoleria, a seconda dei Paesi e delle abitudini. E soprattutto on-line.
Quello che sta succedendo, semplicemente, è che gli editori si sono resi conto di una cosa: per lanciare un graphic novel devono investire la stessa cifra necessaria a lanciare una rivista. La differenza è che la rivista poi prosegue, mentre il graphic novel si ferma lì.
Se il graphic novel ha successo, l’editore deve iniziare a corteggiarne l’autore, nella speranza che non venga colto da un blocco creativo o che non vada alla concorrenza.
Invece la rivista, la sua testata e il suo concept, appartengono all’editore.
Del lettore della rivista, l’editore sa tutto, persino dove abita: perché alla rivista ci si può abbonare. Del lettore della graphic novel, invece, l’editore non sa nulla.
In Francia, recentemente, l’editore Petit à Petit, ha lanciato «Soif!», una rivista di scienza a fumetti. Articoli, approfondimenti, giochi e storie. Lo stesso sforzo che sarebbe stato necessario per lanciare un graphic novel sullo stesso argomento, con la differenza che, con la rivista, l’editore può coltivare il pubblico nel tempo.
La rivista, cioè, è un brand.
Non a caso molte agenzie di comunicazione pubblicano una propria rivista, spesso collegata alle nicchie verticali sulle quali queste agenzie agiscono. Dal food al luxury alla street life, è un proliferare di testate.
Ora il trend sembra abbia raggiunto i fumetti che, fino all’altro ieri, erano solo un sottoprodotto di svago per ragazzini, ma che ora – con i ripetuti successi planetari di film e serie tv – sono un catalizzatore di investimenti. E le riviste sono il loro focus group. Un luogo ideale dove sviluppare e testare le cosiddette ip, intellectual properties, recente ossessione del mondo dell’intrattenimento commerciale.
Si può immaginare quindi la rivista come il reparto Ricerca & Sviluppo del mondo del fumetto, con un fedele piccolo esercito di lettori che lo mantiene in vita, e le potenzialità di piattaforma-trampolino per gli autori che vi pubblicano.
Le riviste a fumetti stanno tornando. Forse non proprio di moda, come il fenomeno culturale globale che furono negli anni d’oro, ma come componente essenziale della macchina dell’entertainment (e della bilancia commerciale dell’editore).
Sia come sia, sono pronto ad abbonarmi, e voi?